martedì 12 aprile 2016

Competenze: “Maneggiare con cura”




Commento alla nota su FB di Raimondo Giunta "DEL FARE E DEL SAPERE ... (uno sguardo ai curricoli per competenze).

1) La parola competenza è diventata come una spezia (come il pepe, curry, cardamomo, curcuma ecc) con la quale viene insaporita e impreziosita qualsiasi vivanda. La "competenza", come la spezia, basta di per sé a qualificare, impreziosire, rendere chic qualsiasi attività a cui essa si accompagna. Chi volete che sia contro una qualsiasi cosa, soggetto, attività se si accompagni con la parola “competente”? Si può contestare il fatto che gli insegnanti devono essere competenti? Che gli alunni devono essere competenti? Che gli apparati amministrativi devono essere competenti?? Che i dirigenti scolastici devono essere competenti??? Che gli avvocati devono essere competenti? Che i dentisti devono essere competenti? Che gli idraulici devono essere competenti? Che gli uomini politici devono essere competenti??? E così via aggiungendo all'infinito.
Più si dilata il campo semantico, più si pluralizzano settori e attività anche molto diversi tra loro, più il significato di “competenza” perde connotazione e specificità, più si sottrae liquidamente ad una de-finizione che ne determini e fissi i confini. Il suo passare dal giuridichese, all'economichese, allo scolastichese e via dicendo riduce via via la sua specificità per cui il suo “seme” viene sempre più ridotto in modo proporzionale al dilatarsi dell'uso nella comunicazione. Se l'attributo “competente” diluisce il suo significato fino all'indeterminatezza il sostantivo “competenza” lo perde quasi del tutto nelle espressioni “didattica per competenze”, “curricoli per competenze”.
2) Competenza nel campo economico-aziendale è intesa come capacità del soggetto lavoratore di mobilizzare le risorse personali interne ed esterne in vista di una performance che risolva al meglio il problema della produzione di beni e servizi.
Cosa può significare ciò, quale corrispondenza mai può trovare questo discorso nell'ambito dell'educazione, istruzione e formazione? Cosa vuol dire capacità di “mobilizzare le risorse” per un bambino o per un ragazzo che si trova in piena età evolutiva e che proprio dentro la scuola quelle risorse deve imparare a costruire? Diversamente è per un adulto che deve essere messo sotto contratto. Il datore di lavoro per quella specifica professione prevede già in premessa le risorse interne ed esterne che devono essere mobilizzate e rileva e valuta ciò attraverso la performance. A un lavoratore adulto le competenze dichiarate e declinate nei modi in cui l'azienda ritiene per i propri interessi sono richieste di partenza per svolgere un determinato lavoro, devono essere possedute in premessa. Quelle competenze sono specifiche, settoriali, permanenti e la loro finitura, se non c'è in partenza, avverrà attraverso corsi di formazione aziendale specifici e finalizzati. Non così per un bambino/ragazzo/adolescente in un processo di apprendimento. Non così per la scuola della Repubblica che deve formare persone e cittadini in grado di saper essere, pensare, fare, vivere. La parola “competenza” come tante altre entrate nello scolastichese provenienti dal campo economico aziendale sono solo delle cattive metafore con le quali si ritiene di semplificare i problemi complessi del sistema di insegnamento-apprendimento in una società sempre più complessa come quella in cui viviamo.
Esempi dell'insignificanza di queste metafore paracadutate per fare tendenza nella scuola se ne possono fare tantissimi. Uno per tanti.
La competenza è una capacità permanente, o comunque perdurante nel tempo, che dà luogo a performance rilevabili oggettivamente e certificabili. (Sulla certificazione delle competenze nella scuola meglio stendere un velo pietoso, e non a caso). Cosa può esserci di permanente nelle acquisizioni di un bambino in evoluzione? Ci sono conquiste, smarrimenti, crisi, regressioni, riprese. Se l'insegnante ha svolto un compito prima delle vacanze di Natale, non dico prima della pausa estiva, e nella sua valutazione ha “certificato” la competenza dell'alunno, quante volte nel rientro a scuola cade in uno stato di disperazione per una conquista che sembrava certa ed invece si è persa tra il panettone di Natale e i regalini della Befana? Quante volte deve riprendere il discorso, le attività, i chiarimenti, le esercitazioni, gli approfondimenti perché magari è morto il gatto a cui quel bambino teneva molto e l'ha gettato in uno stato di disperazione?
Ecco, proprio così, il pianeta scuola, anche nella sua appartenenza ad un sistema complesso e plurale, ha la sua grammatica (didattica) e la sua sintassi (pedagogia), ha le sue regole e i suoi linguaggi, ha il suo specifico di contenuti e soggetti che la abitano, ha compiti specifici che non ammettono nessun trucco digitale come il morphing o nessun trucco linguistico, sia pure con intenzioni metaforiche, che ne snaturi e alteri la natura codificata e sancita dalla Costituzione repubblicana. Non si ammettono semplificazioni, scorciatoie, scimmiottamenti di altri campi e settori, banalizzazioni e riduzioni e/o alterazioni di senso.
Visto che il concetto di competenza (a me pare più un mis-concetto) è entrato come un carro armato nella scuola con arroganza, prepotenza, pervasività ingiustificabili, non potendo essere cacciato ed espunto, almeno attacchiamoci su l'etichetta “Maneggiare con cura”.
3) Le vestali governative e paragovernative delle "competenze" si sono accorte che se le parole sono pietre la realtà ha la testa ancor più dura di esse? Così nella vita scolastica quotidiana accade che, mentre si disquisisce delle competenze degli insegnanti, con le loro "riforme" li costringono a tutt'altri compiti e competenze che con l'insegnamento-apprendimento hanno poco o proprio niente a che fare. Impegni che non "mobilizzano" le loro risorse interne, ma le disperdono e le sottraggono al compito principale che la Costituzione assegna loro. (Vedi immagine)
4) Da come vedo le cose io nella scuola il bambino/ragazzo, gli apprendimenti, i contenuti/saperi/, l'educazione e la sua filosofia, la relazione insegnamento/apprendimento, il senso dei magisteri, l'età evolutiva e le sue regole di sviluppo (che non possono essere violate con un precocismo forzato), il ruolo delicatissimo e speciale dell'insegnante...costituiscono il nucleo di senso dell'istituzione e del sistema. Gli interventi ri(s)formatori spostano l'asse di importanza da questo nucleo a zone esterne, a corollari come la governance, le pratiche valutative, l'organizzazione, il sistema dei premi e punizioni ecc. importati, forzatamente implementati, snaturanti, incompatibili con la scuola. Pertanto non bisogna meravigliarsi o connotare ideologicamente il rigetto che esse provocano, dicendo che gli insegnanti sono corporativi, non vogliono essere valutati, sono conservatori, non vogliono "aggiornarsi" ecc. ecc.
La governance, le pratiche valutative, l'organizzazione, i saperi non possono prescindere dalla "natura" della scuola, dalla sua ontologia. Non possono essere copia-incollati da altri settori, che hanno lo propria "natura" e ontologia, hanno il loro punto di forza nella standardizzazione. La standardizzazione è incompatibile con la scuola, uccide la scuola, il sapere critico, la divergenza, la crescita personale e originale delle persone. La scuola ha la sua storia, ha i suoi saperi contenutistici e professionali accumulati e sedimentati che ne costituiscono risorsa e patrimonio. Questi non possono essere rimossi, estirpati, asfaltati. Anche gli errori, i limiti, i punti critici da superare fanno parte di questo patrimonio, ma non si può buttar via il bambino con il pretesto e la scusa della necessità di buttar via l'acqua sporca. Tutto ciò se si tiene davvero alla scuola, alla sua idea costituzionale e costitutiva della società, non solo quella di oggi, ma soprattutto quella che sarà attraverso le nuove generazioni.
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*L'immagine è un post della collega e amica Zoe Farias al quale ho attribuito il titolo "Se questo è un insegnante"

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