di
Raimondo Giunta*
FUNZIONE DOCENTE E PROFESSIONALITÀ
Il
destino dell’insegnante va di pari passo con quello del sistema
scolastico e l’esercizio del suo mestiere deve fare i conti con i
cambiamenti della società, con le modifiche istituzionali, con i
compiti sempre diversi che vengono assegnati al sistema di
istruzione; il suo ruolo si modifica secondo i tempi e non sempre è
facile arrivare ad una proposta condivisa della sua definizione. Si
procede per accomodamenti e il dibattito pubblico non lievita mai
alle altezze che un problema del genere meriterebbe.
Negli
ultimi tempi si è voluto intervenire sullo stato giuridico
dell’insegnante, ma non mi pare che ci sia curati di vedere se e
come questa operazione abbia inciso sui tratti costitutivi della
funzione docente nel sistema scolastico italiano.
I
compiti della funzione docente si desumono dal ruolo che svolge e
deve svolgere il sistema di istruzione nella società e dai fini che
esso deve realizzare; la loro formulazione non compete solo alla
pedagogia o alle scienze dell’educazione, ma anche e soprattutto
alle decisioni del parlamento e del governo. C'è da chiedersi allora
se le innovazioni della cosiddetta BUONA SCUOLA(L.107/2015)
consentano un sereno e adeguato svolgimento dei compiti della
funzione docente statuiti nel DPR 417 /74 (“La funzione docente
è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di
trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e
di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla
formazione umana e critica della loro personalità”), e
ulteriormente specificati nell’art.1 del D.Lvo n.297/94 (“Nel
rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola
stabiliti dal presente Testo Unico, ai docenti è garantita la
libertà d’insegnamento, intesa come autonomia didattica e come
espressione culturale del docente. L'esercizio di tale libertà è
diretta a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni
culturali, la piena formazione della personalità degli alunni”).
Sono
disposizioni che, delineando il ruolo pubblico dell’insegnante,
indicano come suoi fondamenti l’autonomia intellettuale, la
passione civica e la cultura, perché solo così può essere
funzionale allo sviluppo umano e professionale delle nuove
generazioni .
Le
pratiche didattico-metodologiche e le loro innovazioni, che
caratterizzano la professionalità dell’insegnante, il suo sapere
fare ed agire, sono strumenti e sussidi per i compiti che sostanziano
la funzione docente ed espressione della libertà con la quale deve
essere svolta .”La definizione del bravo insegnante (…) ha
senso in sé, ma in relazione a come è fatta e come funziona la
scuola nella quale è chiamato a svolgere un ruolo non generico,
mirato”(P.Romei). La professionalità del docente deve essere
definita in funzione del suo mandato: quello definito dalla legge
fondamentale dello Stato.
L’amministrazione
ha fatto tre scelte che incidono sulla professionalità dei docenti
che possono condizionare lo svolgimento della funzione docente: la
selezione per concorso, la chiamata diretta degli insegnanti da parte
del dirigenti scolastici e la valutazione del servizio. Che ci sia
attinenza tra questi provvedimenti e l’esercizio in senso
professionistico della funzione docente e la sua valorizzazione è
tutto da vedere e da dimostrare.
Tutti
convengono sul fatto che gli insegnanti preparati e di qualità non
debbano essere un’eccezione, ma l’esito previsto, programmato e
regolare delle modalità del loro reclutamento. Le riforme piccole e
grandi possono mettere piede, consolidarsi e dare frutto, se la
scuola dispone di insegnanti competenti; ma non solo per questo. Le
riforme possono funzionare se gli insegnanti, che sono stati scelti e
nominati, sono messi in condizione di svolgere il proprio lavoro
senza imbarazzi,senza intimidazioni, senza umiliazioni.
Se
l’obiettivo che si vuole raggiungere è quello di disporre di
docenti colti, autonomi e professionalmente attrezzati, non mi pare
che gli strumenti scelti e le condizioni della vita interna di ogni
istituto, determinate con le nuove norme di gestione dell’autonomia
e con i poteri assegnati al dirigente scolastico, lo possano
consentire.
Ma
in che cosa consiste questa benedetta professionalità? Che cosa si
chiede oggi che debba saper fare un insegnante? Ci si potrebbe
riferire a quelle che potrebbero essere le“ avvertenze generali”
dei programmi del concorso, che dovrà essere bandito dal Ministero,
ma al momento sembra opportuno rifarsi alle indicazioni di un autore
che su questo argomento ha scritto pagine persuasive e a quanto pare
molto utilizzate. Philippe Perrenoud indica dieci domini di
competenza ritenuti prioritari nella formazione continua dei docenti
e quindi della loro professionalità:
1)organizzare e animare
situazioni di apprendimento;
2)gestire la progressione degli
apprendimenti;
3)concepire e fare evolvere dispositivi di
differenziazione;
4)coinvolgere gli alunni nel loro apprendimento e
nel lavoro;
5)lavorare in equipe;
6)partecipare alla gestione della
scuola;
7)informare e coinvolgere i genitori;
8)servirsi delle nuove
tecnologie;
9)affrontare i doveri e i dilemmi etici della
professione;
10)gestire la propria formazione professionale.
Non
solo questo. L'insegnante deve sapere cosa insegna e come, ma anche
chi sono i suoi alunni, di che cosa hanno bisogno, come aiutarli se
incontrano difficoltà, in che genere di famiglia e di ambiente
vivono, in che genere di società crescono. La cura degli alunni,
l’attenzione ai loro problemi, l’accompagnamento nei loro
processi di crescita non sono azioni possibili “del” e “nel”
rapporto educativo, ma atti dovuti perchè senza di essi non si
genera formazione, non si sviluppa crescita umana
LA
VALUTAZIONE
Quando
si parla di valutazione degli insegnanti, per eludere le asperità
del problema, si proclama che non c’è nessuna intenzione
vessatoria da parte dell’amministrazione e che anzi l’unica
preoccupazione sia quella di valorizzare il merito, mortificato da
politiche salariali egualitaristiche, come se gli insegnanti migliori
fossero angustiati solo da questo problema e non da preoccupazioni
più serie sulla deriva morale e pedagogica che ha preso il sistema
scolastico.
Ammesso,
ma non concesso, che queste siano le uniche e vere intenzioni, è
noto a tanti, se non a tutti, che ogni sistema di valutazione innesca
logiche gestionali di controllo , che possono modificare la natura e
il senso delle relazioni di qualsiasi comunità professionale, e in
modo particolare di quella scolastica. Nè si può dimenticare nel
riflettere su questo tema che sul mondo della scuola e sul lavoro
degli insegnanti convergono da molto tempo pressioni costanti da
parte degli organismi internazionali in favore di un modello unico di
istruzione e formazione, più o meno come si sta facendo per gli
assetti economico-sociali e che la valutazione del servizio
scolastico e degli insegnanti viene evocata e utilizzata
principalmente per conseguire questo obiettivo.
Più
che premiare per rendere attrattiva(??) la professione, come si
proclama, la vera volontà è quella di regolamentare ogni aspetto
dell’attività dei docenti per inseguire l’obiettivo di
armonizzazione dei sistemi scolastici e dei programmi di insegnamento
a livello europeo. Il pilotaggio del sistema scolastico per risultati
è l’unico strumento possibile per questo scopo e la valutazione
del servizio scolastico e del lavoro degli insegnanti l’unico modo
per poterlo condurre.
Ad
ogni buon conto valutare l’insegnamento, quali che siano gli scopi
che ci si ripromette di raggiungere, è operazione difficile,
complessa, particolarmente insidiosa (Castoldi) e che non può essere
fatta senza mille precauzioni. Insegnare non è un mestiere
tranquillo. Deve confrontarsi con l’altro, alle sue resistenze,alla
sua opacità, alle sue ambivalenze. Insegnare è un lavoro pieno di
contraddizioni: formare tutti/selezionare; prevenire le difficoltà
/sanzionare il disimpegno; suscitare la partecipazione/imporre la
propria autorità; trasmettere saperi strumentali/valorizzare la
cultura generale e umanistica; sviluppare l’altruismo/coltivare la
competizione/adottare le pratiche correnti /difendere la libertà
pedagogica. Su quali di queste scelte l’insegnante dovrebbe essere
valutato?
I
sistemi di valutazione preferiscono obiettivi univoci e osservabili,
ma quelli scolastici non corrispondono a queste caratteristiche. E’
convinzione molto diffusa, ma non presa in considerazione, che gli
aspetti più esigenti e importanti del servizio scolastico non siano
facilmente misurabili e che le misure che si prendono trascurano le
emergenze educative in cui si dibattono le singole scuole.
Nessuno
vuol discutere il fatto che con l’autonomia le scuole abbiano la
responsabilità di rendere conto del proprio operato, che debba
essere messo in atto un sistema permanente di riflessione sull'efficacia delle pratiche didattiche in uso, sulle modalità
del lavoro collegiale, sui risultati ottenuti, sul modo stesso di
regolare l’insieme delle attività, sulle stesse finalità. Bisogna
togliere, però, dal campo ogni illusione tecnocratica, perché è
impossibile il controllo totale di ogni azione e l’eliminazione di
ogni imprevisto e perché non è realistico e scientifico ridurre la
realtà complessa dell’attività didattica a ciò che è
misurabile. Nell'insegnamento è impraticabile un rigoroso e stretto
obbligo di risultato.”Non si può attendere che un insegnante
istruisca un numero prescritto di alunni in tempi
dati”.(PH. Perrenoud).
Fuori
dai denti la verità è che la valutazione di norma non è al
servizio dello sviluppo professionale, ma all'intenzione di
controllo e di normalizzazione della categoria sulla quale si
esercita e che gli eventuali premi, se ci sono, come le eventuali
punizioni sono funzionali alla disintegrazione della solidarietà di
un gruppo di lavoro, per lanciare gli uni nella lotta ( o
competizione..) contro gli altri. E questo vale in modo particolare
per gli insegnanti in Italia, dove da almeno un quarantennio per
cultura, per tradizione, per scelte professionali, per sensibilità
sociale sono stati all'opposizione di qualsiasi tentativo di
omologazione politica, messo in atto dall'amministrazione.
Il
rapporto che si viene a istituire nella valutazione è un rapporto di
potere a vantaggio di chi è autorizzato a compierla. Potenzialmente
la valutazione istituzionale può nuocere allo sviluppo
professionale, contrariamente a quel che si va predicando. Una logica
di controllo può nuocere all'impegno, deviandolo dai suoi più
genuini obiettivi; può nuocere al sentimento di autonomia, di
competenza, di autodeterminazione, al diritto all'errore e ad altri elementi necessari per il coinvolgimento morale e intellettuale nell'esercizio della propria professione.
E
allora niente e nessuna valutazione? No di certo, ma solo se ci sono
solide garanzie ed un ampio consenso su come la valutazione si deve
esercitare, su che cosa si deve esercitare, su chi la deve
esercitare, sui fini per cui si deve esercitare. Si dovrebbe essere
consapevoli che fare diventare la valutazione un’opportunità non è
per niente facile. L’autonomia, occorre ricordarlo, è condizione
necessaria del dispiegamento della professionalità, perché la
professionalità non può darsi se l’insegnante non ha e non si
prende uno spazio di iniziativa e di decisione o se si dovesse
limitare a seguire le prescrizioni altrui o, peggio ancora, se
dovesse farsi condizionare dalle intimidazioni più o meno esplicite
dei propri superiori.
“Gli
studi di pedagogia comparata dimostrano che le nazioni in cui si
valuta non per classificare, ma per prevenire le difficoltà sono
quelle in cui gli insegnanti lavorano sereni ,gli impedimenti sono
piuttosto rari, le innovazioni accettate, poiché le esperienze
precedenti non sono demonizzate.”(O. Maulini).
Appartiene a questo genere di valutazione quella che si vuole mettere
in atto in Italia?
Nel
sapere di un buon insegnante si fondano, come si è visto, saperi
teorici, saperi procedurali, saperi esperenziali, saperi sociali e
sul suo lavoro, cioè sulla trasformazione del suo sapere in azione
formativa non è facile come si vuol fare credere esprimere un
giudizio e tanto meno un giudizio al riparo di risentimenti
personali. Sia il giudizio di efficacia, sia il giudizio di
conformità alle buone regole professionali(G. Le Boterf) su qualsiasi
categoria di professionisti, come anche sul lavoro degli insegnanti,
possono essere formulati solo da esperti della materia, e se i
giudizi non sono di questo genere con la valutazione si rischia di
giudicare la persona, non le prestazioni di un insegnante. A norma
dei commi 127 e 129 dell’art.1 della legge 107, invece, genitori e
alunni del Comitato di valutazione, senza tante cognizioni
docimologiche e in condizione di evidente inferiorità in un organo
collegiale tecnico, che dovrebbe godere dell’assoluta parità dei
suoi componenti, possono intervenire in un’operazione finalizzata
addirittura a premiare gli insegnanti.
LA
CHIAMATA DIRETTA
Come
non bastasse e forse ritenendo la valutazione insufficiente per
arrivare alla normalizzazione della scuola italiana, agli insegnanti
assunti a partire da quest’anno e a quelli che lo saranno in
seguito è riservata la chiamata diretta da parte del dirigente
scolastico e la triennalità dell’incarico, rinnovabile ”purché
in coerenza con il piano dell’offerta formativa”(??) (comma
80 dell’art.1 della legge 107/205)
Un
attacco concentrico e sistematico per stravolgere la funzione docente
cosi com'è ancora stabilita e per sterilizzare la professionalità
ad essa congruente della sua costitutiva autonomia, per asservirle
alle ingiunzioni temporanee di qualsiasi grado dell’amministrazione
scolastica.
Viene
di fatto cancellato il diritto di scelta da parte del docente e il
principio della sua organicità all'istituto di appartenenza, che
storicamente ha dato solo buoni frutti. E’ d’obbligo chiedersi a
cosa serva un serio curriculum di studi, vincere un concorso, se poi
si deve aspettare di essere scelti da altri sulla base di opinabili
criteri. La chiamata diretta è funzionale all'accrescimento smisurato del potere del dirigente, non alla professionalizzazione
dell’insegnante.
E
che dire della triennalità del Ptof, fondamento della triennalità
dell’incarico del docente, come se la scuola dovesse cambiare pelle
ad ogni stormire di foglie? La scuola, fino al recente passato, è
stata giustamente accusata di non sapere tesaurizzare le esperienze
fatte e di dilapidare il capitale culturale collettivo di saperi
professionali, che col tempo si viene a produrre in ogni singolo
istituto, a causa di un’incontrollata mobilità e per l'instabilità
del personale; oggi invece si teorizza e si pratica la precarietà di
tutto il personale, come un validissimo toccasana alle malattie della
scuola. Purtroppo basta avere avuto un semplice sentore di scuola per
sapere che si tratta di una pericolosa e inaudita sciocchezza.
La
libertà di insegnamento è il tratto indiscutibile di una scuola e
di una società democratica; ed essa trova sostegno nella scelta
della sede da parte del docente e nella continuità didattica.
Cancellando la libera appartenenza ad un istituto si cancella la
consistenza giuridica del ruolo dell’insegnante e tutto ciò non si
può gabellare come condizione per valorizzarne il merito e la
professionalità. Si pretende una scuola buona, anzi migliore
rispetto a quella del passato, umiliando gli insegnanti.
Con
le nuove disposizioni si accrescerà negli insegnanti seri, liberi e
preparati la percezione della propria marginalità sociale e la
convinzione di avere avuto un’esorbitante assegnazione di
responsabilità, ma senza garanzie e senza sostegno. Le nuove norme
hanno fatto a pezzi la dignità e l’autorevolezza dell’insegnante,
del cui ripristino avevano bisogno la scuola e la società.
Produrranno l’insicurezza che porta alla remissività e alla
condiscendenza o all'aggressività nei confronti di ogni
controparte e forse in alcuni casi all'abdicazione alle proprie responsabilità.
IL
NUOVO INSEGNANTE
L’insegnante,
disegnato nel coacervo di norme della cosiddetta BUONA SCUOLA, non è
più un operatore della democrazia, impegnato nella trasmissione dei
saperi, dei valori e delle tradizioni della società, sensibile allo
sviluppo culturale umano degli alunni, attento ai problemi della
classe, preoccupato dei risultati di apprendimento di ogni alunno,
così come lo vorrebbero le finalità ricavabili dalle norme
costituzionali. L'insegnante che verrà con le nuove norme sarà il
provvisorio esecutore di attività professionali alla ricerca della
propria riconferma. Ma non sarà la competenza a garantirgli il
posto, bensì soddisfazione del cliente e del padrone...
Le
nuove regole hanno travolto l’identità della scuola italiana e la
funzione docente. Per questo in ogni scuola assume rilievo
politico-culturale di estrema importa la RSU, perché ad essa, ora, è
affidata la custodia e la difesa dello Status e della dignità del
docente Compito che richiede la capacità di oltrepassare i limiti
angusti della contrattazione dei premi, degli incarichi speciali, dei
turni di servizio e delle ore eccedenti.
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*Dirigente scolastico.
Pubblico volentieri sul mio blog il suo articolo che condivido in ogni sua parte.
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