sabato 8 ottobre 2016

Dirigere, Insegnare...in Autonomia


Sulla figura del Dirigente si legge di tutto. Ora, premesso che non mi piacciono le attuali disposizioni che la riguardano, vorrei rilevare che tale figura nella scuola avrebbe una importanza capitale se fosse quella che sfrutta le abilità, le conoscenze, la cultura, di ogni docente. Personalmente ne ricordo con grande rispetto e gratitudine uno, sebbene ne abbia avuti altri in grado di valorizzare le maestre e i maestri con competenze al servizio degli alunni, senza per questo “innalzarli” a collaboratori al proprio servizio . Probabilmente non sarà più su questa terra. Allora, negli anni ‘70, era già avanti negli anni. Lo ricordo più degli altri perché mi diede la spinta per comprendere che sarei potuta diventare l’artefice di un miglioramento possibile, mi diede la speranza nel mio lavoro, cosa determinante per un docente e per la possibilità di crescita di tutto il sistema statale. Io ero una sbarbatella carica di entusiasmo verso l'infanzia e verso la scuola: consideravo l'istituzione statale come la risorsa più grande per far diventare bambini e bambine qualsiasi cosa avessero desiderato e con il massimo di soddisfazioni. Ero incaricata. Avevo un doposcuola nei sotterranei con finestrelle piccole e lontane, in alto in alto sulla parete. Ricordo che le maestre del mattino non ci volevano nelle loro aule ai piani superiori perché temevano che mettessimo a soqquadro l’ordine.
Lui, il mio Direttore (che non scorderò mai), era piccolo, magrissimo, arcigno e sempre al lavoro. Un giorno mi chiamò. Ricordo che tremavo un po’ tanto era il timore di non essere adeguata al mio ruolo, tanta era la mia inesperienza messa a dura prova da una classe di doposcuola e dai giochi serali del Comune sempre con gli stessi alunni, tantissimi (non ricordo neppure il numero!) e provenienti da ogni classe del mattino, prima, seconda, terza...
Ricordo la sua serietà mentre mi chiedeva come io mi trovassi a dover far eseguire i diversi compiti assegnati dalle maestre uniche della mattina.
Risposi francamente che mi sembravano troppi e tanto difficili per alunni che erano in condizioni di deprivazione culturale totale, alunni che si menavano, si detestavano, si rifiutavano e malmenavano pure me (tornavo a casa con i lividi dei loro calci alle gambe ogni giorno). Risposi che, se fosse stato in mio potere, avrei proposto attività ben diverse dal compito di matematica o di italiano (un italiano che molti di essi non parlavano fin dalla nascita: allora gli stranieri erano i tanti bambini provenienti dal sud, i quali spesso parlavano il dialetto della regione da cui provenivano).
Il Direttore chinò la testa pensoso. Io intanto riflettevo se non fossi andata troppo in là con le mie rimostranze sui compiti e con l’esplicita critica al sistema dell’attribuzione degli stessi.
Parlò con serietà: “Provi a immaginare cosa si potrebbe fare per risolvere e affrontare il malessere di bambini costretti a restare a scuola fino a sera. Mi dica, lei ha una passione? Qualcosa che possa unirli e entusiasmarli?”.
Mi sentii dire che sì, amavo la musica e sapevo danzare.
Non aspettò neppure un minuto, e mi chiese quali strumenti mi servissero per organizzare lezioni di danza e musica pomeridiane. Non mi pareva vero. Di nuovo, in un soffio, mi sentii enumerare il materiale.
Dopo qualche giorno, i lunghi corridoi vuoti e severi dell’ultimo piano accolsero me, le sbarre, un registratore e i miei alunni. Mi commuovo ancora nel ripensarli. Erano assolutamente compresi nel loro nuovo ruolo di piccoli danzatori. Alti bassi magrolini rotondetti aggraziati o sgraziati, sembravano rinascere. In particolare ricordo due sorelline che normalmente si picchiavano a sangue, in modo violento e irrefrenabile; esse cominciarono a entrare nella parte di serissime danzatrici. Piedini e piedoni si piegavano al volere di quegli scatenati e sfortunati bambini (tanti provenivano da situazioni esistenziali complicate e parecchi raccontavano di botte e altro a casa).
Ecco, allora, la cosiddetta “autonomia”, la legge che avrebbe dovuto dare libertà d’azione alle scuole di agire, trovare soluzioni, non era neppure nell'aria. Eppure la scuola poteva reagire e cambiare, tentare, dare fiducia agli insegnanti, metterli alla prova e sostenerli, purché si facesse qualcosa di veramente utile alla risoluzione dei conflitti e all'apprendimento.
Ricordo che certo una ragazzina come me, che ancora studiava all'università, non poté nulla contro l’uso di compiti assegnati da maestre di ruolo non sempre adeguati alle diverse situazioni di partenza dei bambini, tuttavia poté, grazie alla sensibilità di un Direttore Didattico, invertire il trend di violenze e inimicizie, poté sperimentare a cosa servono una passione, una competenza qualsiasi (nel mio caso musica e danza, ma so di altri in altre scuole che poterono sfruttare l’amore per la pittura o per l’orticoltura o che so io). I bambini e le bambine iniziarono perfino a eseguire gli odiati compiti, controllavano le crisi, e fu allora che cominciai a inventarmi un “modo” che non ho più abbandonato, sebbene lo abbia poi raffinato per mezzo di stratagemmi e di dritte apprese in numerosi corsi di aggiornamento poi adattate alla maniera mia per farli lavorare insieme affinché i più grandi aiutassero i più piccoli. Fu allora che, lasciata libera di insegnare anche per mezzo di ciò che amavo, insieme con bambini in grande difficoltà, mi appassionai al lavoro di insegnante e allo studio non di soli libri.
La figura del dirigente sarebbe determinante per incentivare un’autonomia ben diversa da quella che circola nelle scuole ora. L’attuale è semplicemente un percorso già programmato, diretto da circolari e decreti piovuti dall'alto, che costringono a investire innumerevoli energie in direzioni predigerite dall'attualità sociale contingente, è investire denaro solo se accompagnato da progetti pensati a tavolino, ancor prima di aver conosciuto le esigenze reali dei bambini, delle loro richieste fatte di carne e cuore. Energie e denaro spesi in mille rivoli che spesso non arrivano da nessuna parte.
Il sistema deve rispondere a un sovrasistema e rincorrerlo, perdendosi in valutazioni, standard da raggiungere, competizione, obiettivi scritti prima di conoscere le situazioni, relazioni su questo e quello prodotte prima di comprendere i contesti e averli analizzati in profondità, relazioni scritte per accontentare, programmazioni a scadenza da produrre, bilanci, revisori dei conti...il tutto condito da una buona dose di ansia e incertezza, di fatica che non produce ciò che si sperava e da una situazione nazionale che vede docenti sballottati da una parte all'altra di Italia, senza neppure la certezza di poter insegnare ciò per cui si è abilitati e su cui si è fatta esperienza di anni. Uno sperpero di competenze ed energie serve ai bambini e alle bambine di oggi, i quali avrebbero necessità di adulti sereni e rilassati, sicuri di ciò che insegnano e disposti a seguirli più di qualsiasi ogni altro adulto che solitamente incontrano sulla propria strada, spesso difficile, a volte solitaria e senza punti di riferimento?
Il bisogno di umanizzarci tutti, dirigenti e insegnanti, genitori e ambienti, è una necessità vitale oggi più di ieri, nel mondo che vede gli errori delle scelte umane del ‘900 fagocitare gli stessi umani che le avevano fatte, in questo mondo che corre, che vede guerre, fughe dai Paesi, nazioni sulla difensiva, tecnologia che fa scomparire il lavoro dell’uomo, disoccupazione, tempo ristretto per le relazioni. Riprendiamoci la libertà di insegnare e dirigere secondo la mente e il cuore per ridare senso alla vita di tutti.

Claudia Fanti (autrice del libro "2014, Odissea nella scuola")

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