Le avventure delle parole, le loro virtù camaleontiche, le loro
trasformazioni, la loro capacità di veicolare sensi diversi, anche
opposti, non finiscono mai. Ovviamente non pensiamo che le parole
siano dotate di una propria soggettività: le trasformazioni, le
storpiature, le opacità, le ambiguità, i capovolgimenti di senso, i
ribaltamenti di significato sono opera dei parlanti/scriventi, sono
frutto delle loro intenzioni comunicative e in ultima analisi dei
loro interessi.
Uno degli argomenti che tiene banco in questi ultimi tempi a ridosso
della legge di “stabilità”, o finanziaria che dir si voglia, è
quello delle pensioni.
Una volta il mondo della scuola non si sarebbe tanto appassionato a
questo tema. Oggi, invece, dal momento che la categoria degli
insegnanti italiani è tra le più vecchie d'Europa e del mondo, la
legittima spirazione ad andare in pensione (di pari passo a quella
dei nuovi docenti a subentrare e svolgere la professione in modo
stabile) fa sì che questo problema delle pensioni assuma un ruolo
centrale richiamando la filiera: anzianità-diritti-pensione-turn
over- ringiovanimento del personale.
Le legittime e costituzionali aspirazioni di moltissimi insegnanti
arrivati alla non più giovane età di ultra sessantenni si scontrano
con gli interessi costituiti di classi dirigenti che in Europa e in
Italia trovano ottima cosa far pagare i costi della crisi ai
lavoratori, riducendo i loro diritti, attaccando il welfare (sanità,
scuola, pensioni...), spingendo la classe media a livelli e
condizioni di retribuzioni e di vita molto prossime alla soglia di
povertà, favorendo i ricchi che divengono sempre più ricchi
(concentrazione della ricchezza), riducendo gli spazi di democrazia,
favorendo i processi di accentramento a livello nazionale
(decisionismo, uomo solo al comando, stravolgimento della
Costituzione...) e sovranazionale (troika, “ce lo chiede
l'Europa”...).
La polemica tra le opposte parti e opposti interessi si infiamma. Per
quanto la parte sociale argomenti i suoi bisogni/diritti, la parte
avversa, pur riconoscendoli all'apparenza, usa come pezzo da 90
potente e insuperabile (bazooka, arma non convenzionale direbbe il
presidente della BCE) la parola “sostenibilità”.
I diritti delle persone, dunque, contro “la sostenibilità del
sistema pensionistico”. La vita passata-presente-futura reale
contro una parola magica, terribile, apparentemente neutra,
incontestabile come una verità scientifica, razionale, di buon
senso, necessaria ancorché astratta.
Che poi questa “sostenibilità” sia frutto di una scelta politica
di determinati interessi di parte contro il quasi universo sociale,
che il “sistema” sia sistemato a bella posta per favorire gli
interessi dei pochi contro gli interessi dei più deve essere
nascosto dalla nebbia, dalla ambiguità della “sostenibilità”.
Il tutto per occultare gli interessi dell'establishment, della classi
dirigenti, dei ricchi, dei “poteri forti” nella loro
irresistibile ascesa verso il dominio assoluto e incontrastato.
Al solo sentire la parola “sostenibilità”, così usata come arma
impropria, il povero aspirante pensionato (aspira alla pensione non
alla carica milionaria di AD di una multinazionale) tremano le vene
dei polsi, viene assalito da un terrificante senso di colpa, si sente
un affamatore, un eversore del “sistema”, un incosciente
dilapidatore di denaro pubblico, un potenziale distruttore dei
destini del Paese, un nemico dei giovani, un divoratore di futuro.
Eppure anche questa parola nella comunicazione sociale era
originariamente ancorata a significati progressivi che suscitavano
speranze per i più, speranze di un mondo migliore, più giusto, più
rispettoso di ambienti, natura, persone.
La sostenibilità ambientale richiamava ad una riflessione sulla
qualità dello sviluppo, sulle distorsioni e sulle patologie del
consumismo, sulla necessità di profonde e radicali trasformazioni
dell'attuale meccanismo di sviluppo economico che produce
concentrazione di ricchezza e generalizzazione di povertà, sperpero
e miseria al contempo.
La sostenibilità era una parola ampia e teneva insieme, coniugandoli
e rendendoli compatibili, tre ambiti: ambientale, economico, sociale.
Il suo contenuto era ed è progressivo, in quanto favorevole a nuovi
equilibri (amichevoli, compatibili) tra natura, economia, società.
Sostenibilità era ed è una parola democratica, rivoluzionaria in
quanto apre orizzonti nuovi, più umani ad un mondo sempre più in
guerra economica e militare, sempre più incarognito da rapine,
competizioni, sperpero e cattivo uso delle risorse della terra, che
non sono infinite.
Sentita in bocca a Padoan e al governo questa parola è bruciata e
stravolta nei suoi orizzonti di senso. Quando dicono che non si può
mettere mano alle ingiustizie, chiamate eufemisticamente e
ipocritamente “rigidità”, della “riforma” (vedi l'articolo
precedente a proposito della parola riforma) Fornero per non
compromettere la “sostenibilità” del sistema pensionistico,
dicono delle falsità.
Il “sistema” Fornero è nato ed è stato programmato per
funzionare solo ed unicamente contro gli interessi della parte più
debole, più produttiva della società. Si è scelto di colpire il
welfare per non toccare i privilegi e gli interessi forti.
Il “sistema” Fornero è “sostenibile” economicamente? Certo,
economicamente è sostenibile in quanto scarica sulle spalle dei
lavoratori ciò che non si vuol far pagare ai ricchi, privilegiati,
evasori, profittatori, corrotti e corruttori, privilegiati di ogni
sorta. Ciò che non vogliono ammettere è che questo sistema è
“insostenibile” socialmente e umanamente, perché le persone non
ce la fanno più, non possono passare direttamente dal lavoro alla
tomba, contrariamente ad ogni principio di civiltà e umanità.
Odiare una parola che fino a ieri si è amata sol perché è stata
rubata, violata, stravolta, trasformata in un'arma di distruzione
sociale ed umana? Giammai.
Tutt'al più mandare a casa gli imbroglioni, i ladri di parole, i
profittatori, gli strumentalizzatori, i piazzisti al servizio dei
potenti.

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